Geomorfologia - Influenze dei fiumi sul mare
 
GEOMORFOLOGIA - Influenze dei fiumi sul mare

 

Fiumi - Mare

Le lagune: sono specchi d’acqua abbastanza calma, separati dal mare aperto da cordoni sabbiosi in parte emersi, ma che lasciano dei passaggi per le correnti di marea. La laguna può avere profondità diverse, ma in ogni caso è un corpo d’acqua protetto, poiché il moto ondoso vi giunge smorzato: la barriera fa da frangiflutti naturale. Anche se la profondità è minima, il fondo è quindi melmoso; la sabbia può arrivarvi  in occasione di tempeste che fanno brecce nei lidi esaurendo poi la loro energia nella laguna. Lasciano in questo modo degli strati distinti, intercalati al fango. I ventagli di sabbia prodotti da queste rotte si possono attaccare insieme lateralmente e crescere fino ad emergere dall’acqua; allora si impaludano e permettono la crescita di piante estendendo la terra emersa sul retro delle barriere. La sabbia vi è portata ciclicamente dal flusso di marea. Si forma allora un lobo sabbioso detto delta di marea. La salinità in una laguna varia poco, e vi è ossigeno sul fondo. Se la circolazione è limitata, l’acqua si può stratificare e l’ossigeno viene consumato. Potremo dunque trovare o no resti di organismi bentonici. In assenza di questi, il sedimento non viene disturbato e la sua stratificazione si conserva perfettamente. In climi umidi le acque lagunari diventano salmastre, in climi aridi si hanno acque sovrasalate.

 

Le piane di marea: sono zone costiere a basso gradiente, sviluppate lungo coste soggette a onde di bassa potenza e a forti escursioni di marea. Il sedimento prevalente è fango , mentre la sabbia è subordinata. Alcune piane sono protette da isole-barriera, altre sono aperte verso mare. Condizione per la loro esistenza è una grande disponibilità di sedimento e una scarsa pendenza della costa. Le piane sono incise da canali e cinte, verso terra, da paludi salate. Una rete di canali è essenziale per il ricambio dell’acqua; essa vi entra dal mare col flusso, li riempie e tracima nella piana. Dopo aver qui sostato durante la fase di inversione del ciclo di marea, in cui la corrente si annulla, l’acqua defluisce verso mare lasciando la piana esposta all’atmosfera. La parte alta riceve solo fango durante l’alta marea, il fango depositato si può screpolare per l’esposizione all’aria durante la bassa marea. La parte occupata da paludi, detta zona supraditale, è invasa dall’acqua delle massime maree; per il resto resta emersa. Nella parte intermedia si registra una tipica alternanza di strati di sabbia e fango. Nella piana inferiore e nei canali c’è più sabbia, i drappi di fango sono più sottili e discontinui. Le due correnti opposte, di flusso e di reflusso, non hanno, di solito, la stessa intensità. La corrente della marea montante è quindi più veloce di quella della marea calante. Se le correnti sono della stessa forza, ognuna deposita il suo strato di sabbia e vi imprime le sue strutture, in due strati sovrapposti si osservano allora lamine inclinate di verso opposto. (STROMATOLITI)

 

Gli estuari: sono foci fluviali in cui l’acqua marina si mescola con acqua dolce innescando correnti di densità. Ciò avviene nella parte intermedia di un estuario; la parte esterna è soggetta all’azione delle maree; la parte interna è dominata dall’acqua dolce. Gli estuari più aperti hanno forma ad imbuto. Dove prevale l’apporto di sedimento del fiume e l’azione delle maree è meno potente, l’estuario si riempie e un delta prende il suo posto. Possiamo distinguere vari tipi di estuario. Quello con minima influenza delle maree si caratterizza per una stratificazione di densità dell’acqua. L’acqua del fiume galleggia su quella salata del mare, più densa; lo strato inferiore di acqua marina si assottiglia a cuneo verso terra. I due strati sono separati da una zona detta la alcalina, lungo la quale si sviluppano onde interne per l’attrito di trascinamento esercitato dal più veloce strato superficiale. Quando il fiume è in magra, il cuneo vi penetra per una certa distanza; quando è in piena, il cuneo si ritira in mare. I più tipico processo di sedimentazione che ha luogo negli estuari interessa il sedimento fine sospeso: si tratta della flocculazione. Le particelle argillose si aggregano in fiocchi che cadono rapidamente sul fondo. La flocculazione non  avviene nell’acqua dolce del fiume, ma dove questa si mescola con l’acqua salata. Negli estuari parzialmente rimescolati, la flocculazione non è diffusa ma forma una zona di massima torbidità. E’ una specie di nuvola di fango fluido, una via di mezzo tra acqua e sedimento. Essa si localizza presso il cosiddetto punto nullo, dove la corrente fluviale si stacca dal fondo incontrando la punta del cuneo salato.

 

 

 

I delta: la loro funzione è di distribuire acqua e sedimento. La forma deriva da un equilibrio tra forze contrastanti: quella del fiume, che si riflette nella portata liquida e solida, e quella del mare espressa da onde e correnti di marea. Il delta esiste in quanto , nel sedimento portato dal fiume, c’è una quantità “in eccesso” che il mare non riesce a distribuire. Questo sedimento va a riempire un tratto di mare davanti alla foce e  la costa avanza. Il delta ha una parte sommersa e anche questa avanza in mare, la sua avanzata è chiamata progradazione. I fiumi che costituiscono delta hanno importanti bacini di drenaggio alle spalle. L’abbondanza di vegetazione e la rapidità di sedimentazione e seppellimento fanno si che si accumulino e si conservino nel sottosuolo grandi quantità di sostanza organica, che si trasforma in carbone e idrocarburi. In ogni delta si distinguono varie parti: piana deltizia, fronte deltizio e prodelta. La piana è una zona piatta, appena sopra il livello del mare, attraversata da vari canali, detti canali distributori. Il fronte comprende la linea di costa e la parte meno profonda del delta sommerso. Il prodelta è la parte più profonda e fuori costa del delta. Il delta avanza in genere sulla piattaforma continentale. I processi deltizi consistono nell’interazione fiume/mare e riguardano, da un lato le masse d’acqua, dall’altro il sedimento. I più caratteristici si localizzano lungo il fronte del delta. Con la sedimentazione la profondità diminuisce ulteriormente e aumentano sia l’attrito sia l’effetto di espansione laterale, accentuando la sedimentazione. Ciò può portare a chiudere la foce, ma prima o poi il fiume, quando porta meno sedimento, si apre la strada sui fianchi della barra o sulla sommità, erodendola. I delta dominati dalle maree si trovano in zone dove l’escursione di marea supera i 3-4 m, generando correnti molto forti. Sono estuari riempiti che si protendono in mare. Il sedimento che giunge in mare viene rapidamente rielaborato in forma di cordoni sabbiosi subacquei, lunghi parecchi chilometri e alti anche 20m. man mano che il delta avanza i cordoni emergono dal mare e sono colonizzati da piante; formano così delle isole che stanno davanti alle foci fino a che sono incorporate nella piana deltizia. I delta dominati dalle onde, in questo tipo di delta, onde di alta energia, scontrandosi con la corrente fluviale, impediscono la stratificazione dell’acqua mescolando quella dolce con quella marina. Il pennacchio torbido è mantenuto sottocosta. Anche la sabbia viene distribuita sui fianchi della foce. Il delta è detto arcuato se le punte delle ali restano attaccate alla costa, alato se si separano e sono aggirate dal mare che vi forma delle baie. Vi sono infine tipi misti di delta, in cui sono riconoscibili gli effetti del fiume, delle maree e del moto ondoso.

 

I sedimenti: la natura dei sedimenti di piattaforma risente in larga misura del clima; questo regola il modo in cui le adiacenti masse continentali vengono degradate ed erose, e quindi il tipo di materiali che arriva in mare. Nelle regioni umide l’alterazione chimica è predominante: i suoi prodotti sono ioni e particelle solide. Ne risulteranno sedimenti fangosi e carbonatici. Alle alte latitudini prevale invece la degradazione fisica. Le rocce vengono spaccate, sminuzzate, usurate meccanicamente sia in posto sia durante il trasporto. Il sedimento terrigeno che troveremo nella piattaforma sarà più abbondante e grossolano. Va ricordato che esistono due categorie distinte di sedimenti nelle piattaforme: quelli in equilibrio con la dinamica attuale, che indicheremo come recenti, e quelli già definiti come relitti e residuali. Il sedimento recente forma un cuneo che si chiude in mare l massimo a una trentina di chilometri dalla costa: oltre, è esposto il sedimento relitto. Tale cuneo è poi costituito prevalentemente da sabbia sotto costa, da fango in piattaforma. In realtà la fascia costiera, a tre dimensioni, è un prisma; più stretta ma più spessa dal cuneo fangoso, trattiene i maggiori volumi di sedimento recente. Diciamo “trattiene” proprio perché estuari, delta, piane di marea ecc sono delle trappole sedimentarie che lasciano ben poco sedimento verso la piattaforma. Nella nostra limitata esperienza del tempo, ciò che sembra esistere ”da sempre” è spesso uno stadio momentaneo di un’evoluzione e vive in una “fetta” sottilissima di tempo geologico. In precedenza, vi era stata una rapida risalita del mare. Questa aveva preso in contropiede i processi di sedimentazione, avendo creato in poco tempo più spazio disponibile per il sedimento di quanto fosse il volume di sedimento messo a disposizione dai processi erosivi. Il riempimento di questo spazio è iniziato a partire dalla costa, e qui dovrà completarsi per proseguire nella piattaforma. Il sedimento recente presente in piattaforma è solo un sottile lenzuolo, e infatti è chiamato il drappo di fango. Quando andiamo a misurare lo spessore di sedimenti e rocce antichi, depositatesi in condizioni analoghe a quelle delle piattaforme attuali, vediamo che è molto maggiore e che comprende anche materiali grossolani. Darwin immaginava i suoi tre tipi di scogliera come stadi di un’unica evoluzione; i coralli crescevano prima lungo la costa di un’isola vulcanica, poi, man mano che questa affondava per subsidenza del fondo oceanico, acceleravano la crescita verticale per mantenersi a pelo d’acqua. Si formava così la laguna all’interno e questa si allargava fino a che la sommità dell’isola spariva sott’acqua: restava la scogliera a delimitare il contorno. I coralli non potevano crescere all’interno della laguna perché qui abbondano i prodotti di rifiuto mentre scarseggiano i nutrienti. Oggi sappiamo che le isole vulcaniche si sono formate sopra “i punti caldi” del mantello, sui quali scorrono le placche della litosfera, in particolare quella che sta sotto l’oceano pacifico. Le scogliere hanno un nucleo costituito da coralli e dalle alghe; questo fa da bastione contro cui si sfoga l’energia delle onde e delle maree. Il detrito di varia pezzatura strappato all’azione meccanica del mare si distribuisce in due fasce: una sul lato mare, più ripido, dove è accumulato dalla gravità, l’altra sul retro, dov’è portata specialmente dalle tempeste. Si distinguono così le seguenti zone: avanscogliera (qui, insieme al detrito, ci sono anche organismi in posto); margine o bordo di scogliera (con alghe e coralli in posizione di crescita); retroscogliera (cioè la laguna con sedimento fine cui si intercalano lingue di sabbia e detrito scaraventato da onde di tempesta). Dove non arrivano apporti terrigeni e neppure la sedimentazione carbonatica è attiva troviamo i sedimenti relitti.

 

I ghiacci che se ne vanno alla deriva lasciano cadere sul fondo marino le pietre e il detrito vario che lo inglobano; questo materiale è abbandonato in parte sulle piattaforme, alle latitudini più alte, ma può raggiungere qualsiasi profondità lungo il percorso degli iceberg. Avremo allora un sedimento glacio-marino. Gran parte del materiale terrigeno è però portato al mare dai fiumi e non può facilmente raggiungere le acque più profonde. Nel loro insieme, le zone di acqua bassa possono essere considerate zone di parcheggio dei sedimenti, zone in cui la sedimentazione non è definitiva. Se infatti il livello del mare si abbassa, essi si trovano esposti all’erosione e al trasporto. La rimobilizzazione avviene in due modi: per azione meccanica dell’acqua sul fondo e per collassi gravitativi, ovvero improvvisi cedimenti di masse su pendii instabili. La risospensione avviene quando grosse onde generate dal vento durante le tempeste generano a loro volta correnti che riescono ad intaccare il fondo marino fino al ciglio della piattaforma . lo stesso moto di va-e-vieni delle onde di tempesta può avere effetti erosivi. I fenomeni di risospensione, oltre a essere sporadici, producono differenze di densità abbastanza piccole e, di conseguenza, movimenti lenti. In sostanza i processi di rimozione di sedimento dalla piattaforma che vedono come protagoniste le forze fluide del mare non spostano grandi quantità di materiale verso il mare profondo. Più importanti sono i collassi e i processi gravitativi.

 

Le frane sottomarine avvengono quando una massa cede sotto il suo peso e scorre lungo una superficie inclinata sepolta. Sul pendio vanno valutate due componenti del peso: una perpendicolare al pendio stesso, l’altra parallela. La prima tende a stabilizzare il sedimento. Iniziato il movimento, il piano di debolezza diviene piano di scorrimento. Mentre nelle frane subaeree il piano di scorrimento si trova tutt’al più a profondità di qualche metro, in ambiente marino può essere molto più profondo. Condizioni favorevoli al franamento sono create anche dalla velocità di accumulo, dalla bioturbazione, dalla presenza di gas, da correnti che erodono il piede del pendio facendone aumentare l’inclinazione ecc.

 

Le colate di sedimento hanno origine simile alle frane. All’interno della massa gli attriti e le resistenze sono minori durante il movimento, e la deformazione aumenta di conseguenza. La stratificazione preesistente nel sedimento viene distrutta, i materiali meno compatti formano una poltiglia che scorre come un fluido, e quelli più compatti formano schegge e blocchi che vengono avvolti dagli altri o vi galleggiano sopra. Se la poltiglia è fornita in prevalenza da limi e argille, avremo colate di fango, o di fango più detrito vario. Altrimenti, la colata sarà di sabbia o mista. L’elevata viscosità del fango fa si che il moto sia paragonabile a un flusso laminare; i vari livelli non si mescolano, o si mescolano poco. I frammenti inglobati in una colata viaggiano come su dei binari e non vi è selezione idraulica. Dal punto di vista granulometrico, i materiali di una colata sono molto eterogenei e disposti alla rinfusa; si va da grossi blocchi alle minute particelle di fango. L’aspetto dei depositi da colata è spesso caotico. In Italia è usato il termine olistostroma per indicare colate sottomarine e olistolite per i singoli blocchi di sedimento indurito o di roccia.

 

Le correnti di torbida sono correnti di densità veloci e turbolente in cui il sedimento è più concentrato che nelle normali sospensioni marine, ma meno che nelle colate. Le correnti di torbida sono i più formidabili agenti  di trasporto nelle profondità marine; possono avere le stesse cause delle frane e delle colate, e rimuovere gli stessi volumi di sedimento, ma la loro efficienza di trasporto è molto maggiore: la loro velocità arriva a 90 km/h, la distanza di percorso può superare i 1000 km e i materiali sospesi non sono solo limo e argilla, ma anche sabbia e ciottoli. Le correnti di torbida scorrono su grandi fronti. E’ probabile che le principali correnti di torbida si sono verificate quando il livello del mare era più basso, durante le glaciazioni. Ciò in quanto i sedimenti “parcheggiati” nelle piattaforme erano più esposti alla rimobilizzazione da parte di onde e tempeste. I parametri critici, che danno un’idea dell’energia contenuta in una corrente di torbida, sono la concentrazione di sedimento sospeso, lo spessore o l’altezza del flusso e il pendio. La velocità della corrente è un indicatore. Influenzato da tutti i principali fattori. Per la densità delle correnti di torbida, si sono suggeriti valori di 1.5-2 g/l e altri maggiormente realistici di 1.03-1.4 g/l. nonostante la raccolta di tanti dai ed evidenze sulle correnti di torbida in natura, non se ne è mai potuta vedere una. Le correnti di torbida nascono sui pendii perché qui il sedimento si destabilizza più facilmente, ma per mantenerle in movimento, a rigore, la pendenza non è necessaria: basta vi sia un gradiente laterale di densità. In aggiunta, quando la loro massa è grande, bisogna tener conto dell’inerzia; una volta giunta alla base di un pendio, la corrente ha ancora energia per proseguire su un fondo orizzontale. Questa energia viene dissipata molto lentamente dagli attriti, che sono deboli; ciò che la fa diminuire è soprattutto la perdita di sedimento, cioè il deposito. La densità produce il movimento; questo genera turbolenza che applica una forza fluida tanto al sedimento sospeso quanto al fondo marino, che può essere eroso. Il sedimento eroso e incorporato nella corrente ne fa aumentarla densità e, di conseguenza, la velocità e la turbolenza. La corrente di rorida è un processo fluido. Tutti questi processi sono trasporto di massa. Ogni corrente di torbida deposita uno strato chiamato torbiditi; in esso le particelle diminuiscono di dimensioni dal basso all’alto, per lo più gradualmente. Le torbiditi sottili si depongono sugli argini dei canali. Gli strati più spessi  li troviamo nelle zone di maggiore energia, come i canali, o dove si ha maggiore perdita di energia e potenza, all’uscita dei canali e in corrispondenza delle rotture di pendio. E’ qui che troviamo le conoidi sottomarine. Le conoidi sono ubicate presso la base della scarpata, all’uscita dei canyon alimentatori; qui viene abbandonata la parte grossolana del carico. Nelle conoidi, dunque, si accumulano strati a prevalenza sabbiosa, non dobbiamo dimenticare che la torbida tende quasi sempre a coprire questa sabbia con fango nello stadio terminale del suo deposito, che avviene dalla “coda” diluita e più lenta.oltre alla gradazione, nella sabbia di una torbiditi si nota una successione verticale di strutture, detta sequenza di “Bouma”. Le strutture in questione sono delle lamine, parallele, ondulate e incrociate; sono segno di trazione sul fondo e subentrano a uno stadio di deposizione pressoché massivo e viene trascinata sul fondo prima di essere sepolta. Si producono così forme di fondo trattive che restano però limitate per lo più alla scala dei ripple, e vengono comunque coperte dal sedimento terminale. Quando una corrente di torbida arriva nella piana sottomarina, può avere già perso il suo carico sabbioso. Ciò non toglie che il suo volume possa essere ancora enorme; anche se è diminuita la concentrazione e la granulometria del sedimento, la corrente può ancora depositare uno strato di spessore superiore al metro. Sarà però uno strato di limo, prevalentemente fangoso, destinato a diventare, col seppellimento e la compattazione, una pelite. Ricapitolando una corrente di torbida “normale”, di volume medio, ci si aspetta che depositi la maggior parte della sabbia nella zona di conoide sottomarina e la maggior parte del fango nella piana adiacente. Ciò nel presupposto che inizialmente trasportasse entrambi i tipi di materiale, in quanto presenti nella zona di alimentazione. Non possiamo dare per scontato che sia sempre così. Le proporzioni di fango e sabbia nel serbatoio originario possono variare. Ogni tanto può capitare che il volume della corrente di torbida sia veramente eccezionale, ad esempio decine di chilometri cubi. Questo può avvenire sia lungo margini continentali tettonicamente tranquilli sia lungo margini attivi. Nel primo caso, sono gli abbassamenti del livello del mare che rendono instabili grossi spessori di sedimenti accumulatesi sul ciglio delle scarpate e soprattutto nei delta. Nel secondo, terremoti e faglie attive rappresentano le cause più comuni. Gli starti che si formano sono stati chiamati megastrati o megatorbiditi. Le correnti di torbida molto voluminose non seguono un percorso canalizzato. Le conoidi sottomarine servono dunque a convogliare e distribuire le correnti di media entità, che vi scavano un sistema di canali più o meno stabili; alcune di queste conoidi sono piccole come quelle subaeree, costruite dai torrenti allo sbocco delle valli montane. La stessa conoide è una grossa lente di sedimento che si appoggia alla scarpata continentale; davanti a se può avere una piana aperta oppure un rilievo sottomarino che contribuisce a intrappolare il sedimento. Si può paragonare a un delta di mare profondo, e di fatto qualche analogia c’è: per esempio, la conoide, come il delta, è un apparato distributore. In acqua bassa predominano i processi selettivi, in acqua profonda quelli di massa controllati dalla gravità. Un delta cresce sulla piattaforma; questa deve essere quindi sommersa, il che capita quando il livello relativo del mare è alto. Se il mare si abbassa, il delta è sottoposto a erosione e il suo volume di sedimento può andare ad alimentare una conoide sottomarina, in quanto il fiume erode la piattaforma emersa e va a portare il suo carico fino al ciglio, dove è preso in consegna da uno o più canyon sottomarini. In sostanza, delta e conoidi sottomarine crescono in tempi diversi e le seconde lo fanno spesso a spese dei primi. Mentre le conoidi torbiditiche hanno una debole pendenza, le piane sottomarine sono pressoché orizzontali e piatte.

 

Modificazioni indotte da organismi e correnti: si può pensare che i sedimenti, una volta adagiatisi sul fondo, sotto parecchi chilometri di acqua e non più alla portata di onde e tempeste, se ne stiano tranquilli finché esiste il bacino oceanico. Quando si è cominciato a prendere fotografie dei fondi abissali, si è visto che non era così; anche dove non si vedono animali, ad esempio vi sono abbondanti tracce della loro attività. Ma l’attività biologica è solo una delle azioni di disturbo. Si è notato che per varie centinaia di metri sopra il fondo, la colonna d’acqua in certi luoghi è torbida. Non si trattano di particelle che scendono dalla superficie, in quanto la torbidità diminuisce verso l’alto, né di correnti di torbida, poiché le concentrazioni di materiale sospeso e le velocità di spostamento sono molto più basse. Questi strati d’acqua torbida profonda sono stati definiti strati nefeloidi e rappresentano sedimento risospeso dal fondo. Responsabili della risospensione sono le cosiddette correnti di fondo, che fanno parte della circolazione geostrofica e termoalina. Le correnti di fondo sono dei flussi d’acqua permanenti, come dei fiumi profondi e senza sponde. Periodicamente vengono rafforzate proprio per influenza delle correnti di superficie. Si generano così sul fondo delle specie di tempeste abissali. Come conseguenza dello stato turbolento che domina molte parti del fondo oceanico, si individua il cosiddetto strato limite bentico, ben rimescolato e spesso qualche decina di metri. Esso influenza i processi chimici e biologici con i suoi movimenti, con la torbidità dell’acqua, con gli scambi acqua-sedimento. E’ qu, anche, che si registra la massima concentrazione di materiali sospesi.