Petrografia del Metamorfico - Capitolo 4
 
PETROGRAFIA DEL METAMORFICO - Capitolo 4

 

CAPITOLO 4

 

Motivi strutturali: Per uno studio completo debbono essere presi in esame su scala microscopica e macroscopica i motivi strutturali relitti (cioè quelli ereditati dalle rocce che hanno subito il metamorfismo) ed i motivi strutturali tipomorfi (cioè quelli assunti durante il processo metamorfico). Per completare la storia debbono essere studiati inoltre i motivi strutturali sovrimposti (cioè quelli legati a fenomeni dinamici tardivi rispetto al metamorfismo).

Motivi strutturali relitti: nelle metamorfici che non hanno raggiunto l’equilibrio, rimangono più o meno inalterate alcune strutture della roccia primitiva, sia essa sedimentaria, magmatica o metamorfica.. queste strutture relitte o palinseste sono particolarmente difficili da individuare nelle metamorfici di alto grado o polimetamorfiche.

Motivi strutturali tipomorfi: abbiamo già visto che il metamorfismo è un fenomeno essenzialmente termico e che nel metamorfismo regionale all’azione termica si accompagna un’azione dinamica, che si esplicano generalmente in più fasi non sempre coincidenti. Nello studio delle metamorfici regionali, dobbiamo cercare di individuare i rapporti temporali fra atti deformativi e blastesi, cioè di stabilire se la cristallizzazione di un minerale è pre-, sin- o post- cinematica oppure se la deformazione è pre-, sin- o post cristallina.

I limiti intergranulari: Il limite fra due cristalli A e B consiste in una sottile fascia di atomi disordinati il cui spessore è in genere dell’ordine delle decina di A. A causa del disordine degli atomi componenti, l’energia dell’interfaccia è maggiore dell’energia di un ugual volume di atomi organizzati nelle strutture cristalline A O supposte  stabili. Premesso che l’energia del limite granulare del cristallo A dipende dalle specie chimiche che lo costituiscono e dalla struttura cristallina di A, l’energia dell’interfaccia A-B dipende ovviamente non solo dalle sopraccitate caratteristiche di A, ma anche dalle corrispondenti di B. Affinché un dato interfaccia diventi stabile, la sua energia deve diventare minima, risultato che essa consegue assumendo una configurazione adeguata. La prima importante conseguenza di ciò è la tendenza, durante il metamorfismo, all’aumento delle dimensione dei cristalli. Ciò consegue dal fatto che, rendendo minimo il numero dei cristalli formanti un dato volume di roccia, si rende minima in esso la superficie totale delle fascie ad alta energia corrispondenti alle interfacce: un semplice aumento di grana costituisce pertanto un grosso contributo alla stabilizzazione delle interfacce. La stabilità di un limite granulare dipende anche dalla sua orientazione rispetto al reticolo cristallino. Un cristallo che è libero di crescere senza alcun condizionamento sviluppa maggiormente alcune facce che hanno particolari caratteristiche rispetto al reticolo cristallino. Tutto questo non succede quando il cristallo deve crescere a contatto con altri.

Per cominciare, consideriamo le rocce monomineraliche in ambiente isotropo, per le quali la formazione dell’assetto delle interfacce è stata in passato accostata al modello di comportamento delle bolle di sapone. In una schiuma in evoluzione, osservata su una sezione planare, si constata la competizione fra le varie bolle con il seguente risultato principale: 1) le bolle piccole e con meno di sei lati diminuiscono di dimensioni e scompaiono; 2) aumenta il numero delle bolle grandi a sei lati; 3) tutte le interfacce tendono a convergere in giunzioni triple, con angoli di 120°.

In rocce di questo tipo, l’assetto delle interfacce alle giunzioni triple con angoli diedri di 120° può essere meglio compreso in termini di tensione interfacciale: infatti, come schematizzato nella prima figura, le tensioni interfacciali applicate sul punto triplo si eguagliano, e conseguentemente gli angolo fra i loro vettori sono eguali fra loro e pari a 120°.

Quando invece si consideri una giunzione tripla nella quale due cristalli di B sono a contatto con A, poiché in generale le tensioni interfacciali B-B saranno diverse da quelle B-A, potremo avere uno dei due casi, con comparsa alla giunzione di angoli diedri diversi da 120°.

Nel caso di giunzioni triple fra tre specie mineralogiche, la situazione si complica ulteriormente. Gli angoli diedri sono controllati dalla seguente relazione (Spry, 1969):

 

γA-B = γA-C = γB-C

sinδC  senδB  senδA

 

nella quale i termini γ indicano le tensioni interfacciali alla data interfaccia e δ è l’angolo diedro del cristallo indicato al punto triplo considerato.

Principio di Riecke e principio di Tabarro-Herring: il primo principio è valido per cristalli immersi in un solvente, prevede la migrazione di ioni ad opera di fluidi intergranulari (metamorfismo di basso grado); il secondo valido per ricristallizzazioni allo stato solido, prevede la migrazione di ioni per diffusione attraverso il cristallo (metamorfismo di alto grado).

Dal punto di vista geometrico, cioè dalla disposizione nello spazio delle interfacce cristalline e dei limiti fra aggregati di cristalli, le strutture vanno distinte in due grandi gruppi:

le strutture isotrope: caratterizzate da una disposizione casuale, e quindi statisticamente identica in tutte le direzioni, degli elementi strutturali;

le strutture anisotrope: caratterizzate invece da diversità degli elementi strutturali nelle varie direzioni, cioè dall’esistenza di direzioni singolari secondo le quali i caratteri strutturali sono profondamente diversi che in altre direzioni.

Ricordiamo ora alcune strutture e microstrutture:

microstruttura idioblastica: definita da un alto numero di idioblasti, cioè di cristalli la cui forma è determinata dalle facce cristalline tipiche di quella data specie mineralogica;

microstruttura xenoblastica: nella quale la maggioranza dei cristalli (xenoblasti) ha forma irregolare;

struttura granoblastica: caratterizzata da cristalli equidimensionali, cioè tendenzialmente isodiametrici;

struttura porfiroblastica: caratterizzata da formazione di grossi cristalli;

microstruttura poligonale: caratterizzata da cristalli che in sezione sottile mostrano un contorno poligonale con interfacce rettilinee;

struttura peciloblastica: caratterizzata da granuli di grosse dimensioni che contengono numerose piccole inclusioni orientate a caso;

struttura nematoblastica: caratterizzata da abbondanza di minerali aciculari (anfiboli, pirosseni, andalusite,  cianite, sillimanite) o prismatici con orientazione preferenziale;

struttura lepidoblastica: con minerali lamellari aventi un’orientazione planare (fillosilicati, muscovite, biotite).

 

 

Meglio compreso è il problema connesso alla crescita dei porfiroblasti (cristalli particolarmente grandi). Quando un porfiroblasto cresce in una matrice chimicamente simile, tale problema è minimo, ed il meccanismo di accrescimento può essere considerato semplicemente in termini di migrazione delle interfacce. Quando  invece il porfiroblasto è significativamente diverso dalla matrice dal punto di vista compositivi, il suo accrescimento richiede migrazione delle sostanze nutrienti su distanze apprezzabili: sono coinvolti processi di diffusione importanti sia per quantità che per le distanze coperte da tale migrazione. Durante il metamorfismo di rocce nelle quali si stanno formando numerosi porfiroblasti esiste, almeno per alcune specie chimiche, una mobilità interna molto alta, di entità che non trova confronti nelle rocce prive di porfiroblasti. La formazione di porfiroblasti può essere infine considerata anche da un altro punto di vista. Il fatto che certe specie mineralogiche tendono a formare pochi grandi porfiroblasti, invece che tanti piccoli cristalli, indica che queste specie mineralogiche hanno spiccata tendenza a formare una limitata popolazione di nuclei cristallini stabili, mentre le fasi mineralogiche che costituiscono la matrice minuta hanno tendenza a formare una miriade di nuclei. I minerali tipicamente porfiroblastici sono allumosilicati relativamente densi dal punto di vista reticolare, aventi elevati energie dei limiti granulari. Quest’ultima caratteristica comporterebbe instabilità dei nuclei cristallini di piccole dimensioni, e quindi provocherebbe dissoluzione della maggior parte dei nuclei formatisi: sopravviverebbero solo pochi nuclei straordinariamente grandi formatisi in siti privilegiati, e su di essi verrebbe convogliato, per diffusione, tutto il materiale chimico liberato dalla dissoluzione dei piccoli nuclei instabili.

Una caratteristica fondamentale che riguarda gli effetti deformativi è l’anisotropia. In generale, essa è rappresentata dai piani di scistosità o da lineazioni. Le anisotropie planari visibili nelle rocce metamorfiche possono essere dovute a:

a) orientazione preferenziale dei minerali e di aggregati di minerali metamorfici;

b) orientazione preferenziale di minerali pre-metamorfici;

c) alternanze di letti compositivamente diversi, fino alla scala decimillimetrica;

d) alternanza di letti a varia grana.

Le anisotropie planari che meglio fanno al nostro caso sono quelle legate ad orientazioni preferenziali di minerali, cioè i piani di scistosità. Essi possono formarsi per vari meccanismi genetici, ma in tutti i casi la loro formazione è legata ad un atto deformante. Essendo ben visibili al microscopio, queste anisotropie ben si presentano a fungere da termini di riferimento rispetto al quale fare una datazione relativa dei granuli, cioè una loro classificazione in: cristallo che preesistevano alla formazione di questi paini (pre-cinematici), cristalli formatisi contemporaneamente ad essi (sin-cinematici), e cristalli di genesi posteriore (post-cinematici). Altri elementi strutturali diventati largo uso come termini di riferimento cronologico nell’analisi microstrutturale sono legati all’evoluzione di questi piani, cioè alle loro vicissitudini successive. I piani di scistosità possono subire un ulteriore (o ulteriori) atto (i) deformante (i), diventando ondulati o pieghettati, ed i letti che essi comprendono possono essere ispessiti per schiacciamento, slittato l’uno rispetto all’altro per movimenti paralleli ad essi. Si tratta principalmente di tre casi, a ciascuno dei quali corrisponde un diverso tipo di deformazione dei piani di scistosità:

1)       una compressione con componente principale perpendicolare ai piani di scistosità già esistenti: essa risulta in uno schiacciamento (flattening) dei letti;

2)       una compressione con componente principale parallela ai piani di scistosità già esistenti: essa risulta in uno schiacciamento laterale con deformazioni plicative più o meno intense;

3)       un’azione di taglio agente parallelamente ai piani di scistosità già esistenti: determina slittamenti differenziali di un letto rispetto all’altro.

I cristalli pre-cinematici possono essere riconosciuti o perché portano segni delle deformazioni subite, o perché la matrice che li circonda porta i segni della preesistenza di detti cristalli rispetto alla deformazione della matrice. I segni diretti delle deformazioni subite dai cristalli sono vari, e di varia intensità. Estinzione ondulata; incurvamento; fratturazione; frammentazioni in più tronconi; piegamento a ginocchio, con formazione di kink bands; poligonalizzazione. I segni della preesistenza di  cristalli rispetto alle modificazioni della matrice circostante sono anch’essi vari. In particolare dettagli nella geometri di una matrice incurvata intorno ad un cristallo possono denotare la preesistenza di un corpo rigido (il cristallo) al momento della deformazione della matrice. Inoltre,  la cristallizzazione di minerali tipicamente localizzati ai fianchi di un granulo, a costituire le cosiddette ombre di pressione e frange di pressione, è molto significativa. Essa indica chiaramente che il granulo al nucleo di queste caratteristiche microstrutture è anteriore rispetto ad un atto deformante, in generale a risultante compressiva, che ha schiacciato il cristallo, determinando una distribuzione eterogenea delle spinte nell’intorno del cristallo, a causa della rigidità di quest’ultimo rispetto alla soffice matrice circostante: come conseguenza di questi forti gradienti locali di pressione, si determina una locale migrazione di materia nelle zone protette, e conseguente cristallizzazione tipicamente localizzata. Quindi, il cristallo al nucleo di queste particolari microstrutture è pre-cinematico rispetto all’evento deformante sopra citato, mentre i granuli cristallizzati nelle ombre e nelle frange di pressione sono sostanzialmente sincinematici rispetto all’atto deformante.

I cristalli sincinematici, formatisi cioè durante l’atto deformante, hanno caratteri microstrutturali fortemente dipendenti dallo specifico tipo di deformazione. Basti pensare ai cristalli sincinematici che crescono durante il primo atto deformante, i quali con la loro forma e la loro orientazione preferenziale definiscono la scistosità, e confrontarli con i cristalli sincinematici che, ad esempio, crescono nelle ombre di pressione sopra descritte. E’ quindi difficile dare delle caratteristiche generali, e può in parte valere il criterio, da usare però con molta cautela, che tutti i cristalli per i quali non v’è motivo di supporre una nature pre- o postcinematica, possono essere considerati sincinematici. Per quanto grossolano, tale criterio corrisponde alle ragionevoli aspettative che l’atto deformante e quello blastico principale siano contemporanei, e che quindi in una roccia metamorfica la gran parte dei cristalli dovrebbe essere geneticamente legata a questo momento.

I cristalli postcinematici, relativamente abbondanti nelle rocce metamorfiche, o crescono con orientazione casuale, oppure ricalcano le anisotropie precedenti. Particolarmente interessanti sono i casi di cristallizzazione mimetica di miche nelle cerniere di pieghe preesistenti: le varie lamelle non deformate disegnano le pieghe, formando i cosiddetti archi poligonali. Questo risultato è dovuto al fatto che le nuove lamelle utilizzano, nella loro costruzione, blocchi dei reticoli cristallini delle lamelle preesistenti. Di cristallizzazione postcinematica possono essere i minerali sostituenti nelle pseudomorfosi, e gli orli di accrescimento.

Nel caso di un atto deformante compressivo agente perpendicolarmente ai piani S:

a) i porfiroblasti precinematici presentano un incurvamento dei piani di scistosità intorno ad essi, con eventuale cristallizzazione nelle ombre di pressione: le inclusioni interne individuano una Si in quanto non hanno subito, come quest’ultima, l’atto compressivo;

b) i porfiroblasti sincinematici mostrano Si con scie che, ampiamente spaziate al nucleo, diventano via via più ravvicinate nelle parti più esterne di ogni porfiroblasto;

c) i porfiroblasti postcinematici, essendo cresciuti dopo l’atto compressivo, hanno una Si che è perfettamente identica alla Se.

Nel caso di un atto deformante con compressione laterale rispetto ai piani S:

a) i porfiroblasti precinematici hanno Si non ripiegate mentre le Se sono ondulate o pieghettate per effetto della compressione;

b) i porfiroblasti sincinematici mostrano al nucleo una Si piana o solo debolmente ondulata, che diventa sempre più pieghettata andando verso le parti marginali, fino a diventare perfettamente concordante con Se;

c) i porfiroblasti postcinematici hanno potuto incorporare la microstruttura già pieghettata, e quindi Si è identica a Se, formando una tipica struttura ellittica.

Nel caso di un atto deformante che abbia provocato slittamenti differenziali lungo i piani S:

a) i porfiroblasti precinematici hanno subito una rotazione meccanica, postcristallina, e quindi Si forma un angolo brusco rispetto a Se;

b) i porfiroblasti sincinematici sono rotolati durante l’accrescimento, e quindi le microinclusioni in essi formano degli inviluppi sigmoidali, a forma di S più o meno serrata, oppure a spirale: si formano in tal modo i cosiddetti porfiroblasti a palla di neve;

c) i porfiroblasti postcinematici non presentano particolari caratteristiche: le Si sono perfettamente concordanti ed identiche rispetto ad Se, in quanto non possono registrare un movimento che è avvenuto prima della crescita del porfiroblasto.